martedì 11 dicembre 2012

A VOLTE RITORNANO


A quattro anni dalla Grande Crisi tornano le obbligazioni garantite da mutui immobiliari e obbligazioni “junk” (obbligazioni “spazzatura”). Ma la ricerca di rendimenti elevati non giustifica investimenti avventati e non sostenibili. Qualità, selettività, buone informazioni le parole chiave per questi mesi.
Luigi Einaudi è stato un grande intellettuale, un grande economista ministro con De Gasperi, Governatore della Banca d’Italia, Presidente della Repubblica Italiana dal 1948 al 1955. Insomma un grande italiano. E’ celebre la definizione che egli diede del risparmiatore: strano animale con cuore di coniglio, gambe di lepre e memoria di elefante.
Eppure c’è da chiedersi se la definizione che Einaudi fece del risparmiatore sia ancora attuale o se scarsa educazione finanziaria e avidità ne abbiano provocato l’estinzione e favorito lo sviluppo di specie del tutto nuove.
Sembra infatti che l’avidità abbia avuto ragione del cuore di coniglio e delle gambe da lepre, e anche la memoria si sia fatta straordinariamente più corta. Approfittando di avidità e memoria corta di tanti investitori, fantasmi del passato che pensavamo scomparsi per sempre “a volte ritornano”.
Tassi bassi o addirittura negativi in termini reali e le deboli prospettive di rendimento di corporate di buona qualità costituiscono un ambiente decisamente ostile all’investimento obbligazionario. Tornano dunque le obbligazioni garantite da mutui immobiliari, si riaffacciano le cartolarizzazioni di mutui immobiliari rischiosi i cui rendimenti di gran lunga superiori a quelli dei Treasury fanno premio sulla loro pericolosità.
Alle ragioni di natura finanziaria si affiancano motivazioni che hanno più a che fare con la psicologia degli individui. I molti che trovano insoddisfacenti i rendimenti dei titoli governativi o delle società ad elevato rating si mettono alla ricerca di maggiore rendimento nelle obbligazioni (perché “meno rischiose delle azioni“!) e finiscono per lasciarsi irretire dai rendimenti sibaritici senza preoccuparsi troppo della loro sostenibilità.
E’ una sorta di deja vu, un viaggio indietro nel tempo di pochi anni, come se il 2008 non ci fosse mai stato, come se non si fosse imparato nulla da quella lezione i cui disastri si allungano dolorosamente nello scenario di oggi .Secondo il Sole 24 Ore nel corso del 2012 ad oggi sono stati emessi circa 313 miliardi di dollari in obbligazioni “junk”, più del doppio rispetto al 2007. Di questi circa 31 miliardi sono emissioni con il rating più basso (tripla C).
 La corsa alle obbligazioni più speculative è certamente agevolata dal programma quantitativo della Federal Reserve avviato a settembre, che prevede l’acquisto di 40 miliardi di dollari al mese di obbligazioni garantite da mutui. Come in un B-movie  ell’orrore sono tornati anche i titoli che pagano la cedola in natura: sono i Pik Bonds (Pay in kind bonds) che consentono di rimborsare la cedola semestrale con nuove obbligazioni anziché con il denaro. Per l’emittente è un modo semplice per differire, fino alla scadenza, l’obbligo del rimborso, per il prestatore è un modo come un altro per farsi del male aumentando il rischio in modo parossistico.
 “More junk in the junk bond trunk”, altra immondizia nel contenitore dei bond-immondizia; chi mai al mondo accetterebbe simili castelli di carta, ci si potrebbe chiedere. Eppure qualcuno ci deve essere, perché diversamente non si spiegano i circa cinque miliardi di dollari di questi titoli emessi nel solo 2012.
 Quando la piscina si svuota, dice Warren Buffet, ci si accorge di chi non ha il costume. Per quanto difficile sia l’ambiente per l’investitore obbligazionario, esso non è alibi per scelte avventate, per la ricerca della sua sostenibilità. Il 2013 si profila anno difficile per le obbligazioni, la Fed metterà fine al programma QE3, la crescita debole potrebbe inceppare i rimborsi delle società più deboli che pure sono massicciamente ricorse al mercato nel 2012.
Qualora i nodi dovessero venire di nuovo al pettine, e i sottoscrittori di quelle obbligazioni si trovassero di nuovo in difficoltà bisogna ricordare che: la ricerca di rendimento reale non può non essere associata, sempre, alla verifica della sua sostenibilità rendimento a prescindere, senza la contestuale attenzione per decidere bene sono necessarie buone informazioni e questa è una ulteriore difficoltà perché, come dice Peter Bernstein, “l’informazione che hai non è l’informazione che vuoi. L’informazione che vuoi non è l’informazione che ti serve. L’informazione che ti serve non è informazione che puoi avere. L’informazione che puoi avere costa più di quanto tu sia disposto a pagare”.   
I mercati finanziari in questo speciale periodo della storia mettono alla prova tutti, operatori professionali, gestori, risparmiatori. La costruzione di portafogli di successo richiede buone informazioni, qualità, selettività.
Nessuno ha la bacchetta magica, ma ragionandoci un po’ su senza farsi prendere da facili e futili entusiasmi e soprattutto non guardando l’erba del vicino ma in casa propria …. si può fare un buon lavoro.
Un abbraccio Mauri
(fonte dati S&G studi che ringrazio)

venerdì 23 novembre 2012



                            IL BAR DI HELGA

Helga è la proprietaria di un bar, di quelli dove si beve forte.

Rendendosi conto che quasi tutti i suoi clienti sono disoccupati e che quindi dovranno ridurre le consumazioni e frequentazioni, escogita un geniale piano di marketing, consentendo loro di bere subito e pagare in seguito. Segna quindi le bevute su un libro che diventa il libro dei crediti (cioè dei debiti dei clienti).



La formula “bevi ora, paga dopo” è un successone: la voce si sparge, gli affari aumentano e il bar di Helga diventa il più importante della città.

Lei ogni tanto rialza i prezzi delle bevande e naturalmente nessuno protesta, visto che nessuno paga: è un rialzo virtuale. Così il volume delle vendite aumenta ancora.
La banca di Helga, rassicurata dal giro d’affari, le aumenta il fido. In fondo, dicono i risk manager, il fido è garantito da tutti i crediti che il bar vanta verso i clienti: il collaterale a garanzia.



Intanto l’Ufficio Investimenti & Alchimie Finanziarie della banca ha una pensata geniale. Prendono i crediti del bar di Helga e li usano come garanzia per emettere un’obbligazione nuova fiammante e collocarla sui mercati internazionali: gli Sbornia Bond.

I bond ottengono subito un rating di AA+ come quello della banca che li emette, e gli investitori non si accorgono che i titoli sono di fatto garantiti da debiti di ubriaconi disoccupati. Così, dato che rendono bene, tutti li comprano.

Conseguentemente il prezzo sale, quindi arrivano anche i gestori dei Fondi pensione a comprare, attirati dall’irresistibile combinazione di un bond con alto rating, che rende tanto e il cui prezzo sale sempre. E i portafogli, in giro per il mondo, si riempiono di Sbornia Bond.



Un giorno però, alla banca di Helga arriva un nuovo direttore che, visto che in giro c’è aria di crisi, tanto per non rischiare le riduce il fido e le chiede di rientrare per la parte in eccesso al nuovo limite.

A questo punto Helga, per trovare i soldi, comincia a chiedere ai clienti di pagare i loro debiti. Il che è ovviamente impossibile essendo loro dei disoccupati che si sono anche bevuti tutti i risparmi.



Helga non è quindi in grado di ripagare il fido e la banca le taglia i fondi.

Il bar fallisce e tutti gli impiegati si trovano per strada.



Il prezzo degli Sbornia Bond crolla del 90%.

La banca che li ha emessi entra in crisi di liquidità e congela immediatamente l’attività: niente più prestiti alle aziende. L’attività economica locale si paralizza.



Intanto i fornitori di Helga, che in virtù del suo successo, le avevano fornito gli alcolici con grandi dilazioni di pagamento, si ritrovano ora pieni di crediti inesigibili visto che lei non può più pagare.

Purtroppo avevano anche investito negli Sbornia Bond, sui quali ora perdono il 90%.

Il fornitore di birra inizia prima a licenziare e poi fallisce.



Il fornitore di vino viene invece acquisito da un’azienda concorrente che chiude subito lo stabilimento locale, manda a casa gli impiegati e delocalizza a 6.000 chilometri di distanza.

Per fortuna la banca viene invece salvata da un mega prestito governativo senza richiesta di garanzie e a tasso zero.





Per reperire i fondi necessari il governo ha semplicemente tassato tutti quelli che non erano mai stati al bar di Helga perché astemi o troppo impegnati a lavorare.

Bene, ora potete dilettarvi ad applicare la dinamica degli Sbornia Bond alle cronache di questi giorni, giusto per aver chiaro chi è ubriaco e chi sobrio .
Piaciuta la storiella illustrata? fate i vostri commenti....
Un abbraccio Mauri




mercoledì 21 novembre 2012

               E’ RIGORE QUANDO L’ARBITRO FISCHIA  


 Di troppo rigore si muore, eppure non si può avere crescita economica senza aver riportato ordine nei conti pubblici e fiducia nel debito sovrano.
Come un ombra  lo spettro della reces­sione continua a minacciare l’Europa: la crescita del PIL è negativa anche nel 3^ trimestre e le ombre si allungano sul­la Germania che registra un rallentamento dell’attività eco­nomica e delle esportazioni. A settembre gli ordini dell’indu­stria tedesca sono calati del 3,3%, la produzione è calata del 1,8%, le esportazioni sono calate del 2,4%, dato che non ha sorpreso nel segno (due terzi delle esportazioni della Germa­nia sono verso un’Europa sempre più povera) ma nell’am­piezza (atteso -1,5%).La crescita economica per l’Europa è ancora lontana mentre l’aggressione del debito e le politiche volte alla sua stabiliz­zazione non saranno sostenibili a lungo. “Senza il nostro ri­gore oggi non ci sarebbe l’eurozona” si legge nel documento pubblicato dalla Presidenza del Consiglio “Appunti di viaggio” ad un anno esatto dal giuramento.
“Rigore è quando arbitro fischia” diceva l’indimenticabile Vujadin Boskov.
Nell’Eurozona la partita sembra cristallizzata al rigore fi­schiato dalle autorità politiche. Ma di troppo rigore si può anche morire e se nelle partite al primo tempo di gioco segue la ripresa, al rigore fischiato in Europa, non è ancora seguito il secondo tempo, la “ripresa” appunto”. E’ stato calcolato l’effetto recessivo dell’inaspri­mento fiscale intervenuto in Italia negli ultimi due governi, pari a 4 punti di PIL: “in assenza di variazioni nella politica  fiscale, l’economia italiana si contrarrà di altri due punti-due punti e mezzo. Alla luce di questi conti mi chiedo che cosa possa indurre all’ottimismo sulla crescita”. Sulla stessa lun­ghezza d’onda Mario Draghi che ha esortato a non aumenta­re le tasse.
I deficit fiscali persistenti in molti paesi europei sono arriva­ti ad un punto dove austerità e tagli alla spesa sono divenuti inevitabili e nel contempo intollerabili i loro costi sociali e politici. Una politica di austerità indiscriminata, basata su ta­gli alla spesa e incremento di carichi fiscali può rivelarsi un errore. Sono stati misurati gli effetti economici ma forse si sono sottostimati i costi sociali: le manifestazioni e gli scon­tri con le forze dell’ordine in molte città europee danno voce al doloroso allargamento degli spread sociali, al furto di fu­turo subito dai più giovani.
Sfortunatamente, non si può semplicemente sostituire l’au­sterità con la volontà di far crescere l’economia (ehi, perché nessuno ci ha pensato prima?). La strada della spesa pubbli­ca per interventi anticiclici è inibita: l’Italia negli ultimi decen­ni è stata campione di spesa pubblica ma fanalino di coda nei tassi di crescita. Il rigore dei conti in ordine resta la pre-con­dizione per continuare a finanziarsi a tassi sopportabili ma esso deve essere affiancato da misure che restituiscano spe­ranza, che facciano vedere a tutti, se c’è, “la luce in fondo al tunnel”.  L’unico sentiero per la crescita sostenibile è quello che passa per aggiustamenti e modifiche strutturali delle economie accompagnati da una nuova governance europea, vera sfida dei leader europei. L’Europa è all’ultimo miglio, la cooperazione europea costituisce probabilmente l’unico combustibile alla ripresa: se nei fatti la sovranità nazionale è già violata dalla sorveglianza e dal verdetto dei mercati, allo­ra probabilmente cooperazione e concerto sovranazionale sono le necessarie premesse per la ripartenza.
Le banche centrali, la Fed come la BCE hanno iniziato ad esplorare nuovi territori ed hanno reinventato la politica mo­netaria con strumenti eccezionali come l’allentamento quan­titativo. Si tratta di esperimenti di politica monetaria “in cor­pore vili”, praticati cioè sull’organismo pulsante dell’economia senza precedenti sperimentazioni. Efficace nel contrastare sfide cicliche di breve periodo, la politica monetaria non for­nisce però soluzioni di lungo periodo: essa “compra tempo” alla politica fiscale, l’unica in grado di sciogliere i nodi strut­turali del lavoro, dello sviluppo, della ricerca, della distribu­zione della ricchezza. La responsabilità resta alla politica perché “spetta ai governi lo sforzo maggiore nella riconqui­sta della credibilità” ha ricordato Draghi nell’inizio del suo intervento in Bocconi la settimana scorsa. I governi devono mostrarsi capaci di accettare la rinuncia parziale alla sovra­nità fiscale in cambio della condivisione comunitaria del far­dello dei debiti. “La crisi ha messo in luce la necessità di portare a compimento l’Unione economica e monetaria” ha detto ancora Draghi.
Negli Stati Uniti la vittoria di Obama conferma la prosecuzio­ne di una politica monetaria espansiva e una politica fiscale accomodante con la middle class, quel ceto medio spina dor­sale dei consumi interni. In Cina il cambio di leadership è avvenuto nel segno della continuità, proseguirà il cambia­mento strutturale dell’economia cinese, ovvero un ruolo cre­scente dei consumi interni a scapito delle esportazioni tale da rendere sostenibili tassi di crescita compresi nella for­chetta 6%-8%. Le economie di USA e Cina offrono all’Europa i chiodi in parete ai quali assicurare le proprie speranze di crescita. I leader europei dovranno dimostrarsi capaci di guardare oltre la convenienza politica del breve termine ver­so il più prezioso interesse comune. In una settimana decisi­va (Europa, Grecia, bilancio comunitario), la prevalenza degli interessi nazionali sarà dimostrazione di vista corta e coste­rà ulteriore ritardo a quella integrazione su cui sembrano tutti d’accordo. Si tratta di puntare al medesimo obiettivo perché, come dice il saggio Boskov, “per segnare bisogna ti­rare in porta”.

Un abbraccio a presto Mauri

P.S. un ringraziamento al centro studi S&G per le informazioni

venerdì 9 novembre 2012

ELEZIONI AMERICANE E POSSIBILI SCENARI FUTURI

La corsa alle elezioni è stata unica nel suo genere, vista la difficoltà nell’interpretare le previsioni di voto a causa della loro contraddittorietà. Ogni partito o quotidiano ha utilizzato differenti dati statistici ed ognuno credeva che il proprio candidato sarebbe stato vincente fino al giorno delle elezioni, con un margine rassicurante sull’avversario. Pertanto, per i mercati è stato difficile interpretare le previsioniConseguenze del voto Probabilmente Ben Bernanke rimarrà il Presidente della Federal Reserve fino al 2014 ed anche oltre; con la presidenza di Romney, per lui non vi sarebbe stata alcuna possibilità di continuare a ricoprire l’incarico. Conosciamo il modo di operare di Bernanke, quindi possiamo attenderci che non vi saranno sostanziali modifiche nei prossimi
mesi: le politiche monetarie continueranno a supportare la ripresa dell’economia e del mercato del lavoro. Il “fiscal cliff”* sarà affrontato nei primi mesi del 2013 e farà parte delle discussioni in merito ai tagli alla spesa e agli aumenti fiscali che saranno affrontati nell’ambito delle discussioni relative alla riduzione del debito pubblico, parte fondamentale del piano di spesa pluriennale. Le elezioni presidenziali hanno avuto un impatto minore in termini di composizione del Congresso: sembra che i Democratici abbiano leggermente incrementato la necessario un accordo bipartisan per analizzare la questione del fiscal cliff. La mancanza di un significativo cambiamento negli equilibri di potere a Washington dovrebbe essere favorevole per il raggiungimento di un buon compromesso, ma rappresenterà la maggiore sfida del 2013. Le tasse probabilmente aumenteranno (comprese quelle sui dividendi e sui redditi da capitale), soprattutto per i patrimoni più elevati, ma i cambiamenti non saranno incisivi tanto quanto vorrebbero i Democratici, dal momento che i partiti dovranno giungere ad un accordo sulle previsioni di spesa. Sia i Democratici che i Repubblicani nel Congresso dovranno negoziare su parte delle loro richieste in termini di tasse e spesa pubblica. La politica energetica è ancora incerta. La vittoria di Obama non è una notizia negativa sotto questo punto di vista, ma non è neanche positiva tanto quanto sarebbe stata quella di Romney. Una politica di investimenti in campo energetico sarà probabilmente implementata, ma occorrerà più tempo per definirla con l’amministrazione Obama. La spesa sanitaria potrebbe essere oggetto di pressioni da parte degli oppositori, ma la manovra implementata da Obama (c.d. Obamacare) non sarà stravolta. Questo risolve alcune controversie ed è probabilmente un buon risultato per le aziende operanti in questo settore. Anche la spesa per la difesa potrebbe essere oggetto di maggiori pressioni, ma non ci si attende un taglio netto.
Conclusioni Il risultato elettorale ha chiarito alcuni punti incerti sulla politica statunitense e questo è sempre positivo per i mercati, ma l’aspetto chiave per i prossimi mesi sarà la revisione del bilancio,  e discussioni in merito a questo tema influenzeranno l’andamento dell’economia e dei mercati nel 2013. La buona notizia è data dal fatto che Obama cercherà di giungere ad un accordo velocemente. Il rischio è dato dal fatto che se non risolvesse questo aspetto in tempi brevi, perderebbe la possibilità di raggiungere qualsiasi altro obiettivo nel corso dei prossimi quattro anni di mandato.
Un grazie al centro studi di INVESCO, alla prossima un abbraccio Mauri

lunedì 29 ottobre 2012

Razionalità ed irrazionalità, la psicologia dell’investitore e le trappole della finanza comportamentale

Il cittadino medio è in preda al panico da instabilità per il lavoro, per il risparmio e per il futuro, sia suo che dei propri figli.
Il panico è il sentimento dominante nei comportamenti di massa. Siamo abituati ad associarlo al caos e allo smarrimento, senza pensare che può essere veicolato, accresciuto oppure diminuito da segnali e comportamenti che ci circondano. Celare queste considerazioni nella realtà d’oggi, per valutarne i risvolti su economia e finanza, non può prescindere da un’attenta analisi del ruolo che attualmente rivestono i mass media e di quali e quanti siano i mezzi a loro disposizione.
La velocità con cui circolano le informazioni è aumentata a dismisura. Questo è l’aspetto fondamentale. Le azioni vengono prima del pensiero, le notizie rimbalzano tra siti internet e telegiornali come spot telegrafati. Dati, indici di borsa e previsioni sgorgano in flusso continuo chiamando i risparmiatori a prendere decisioni prima ancora di aver compreso le cause dei movimenti in atto, ammesso che queste esistano. Si creano così i comportamenti di massa, il panico appunto. L’emotività, dunque, investe i piccoli risparmiatori, come gli economisti, le grandi società d’investimento, come gli opinionisti. Vi sono buone ragioni per ritenere che siano queste le cause dell’attuale spaccatura tra economia e finanza. Mai come ora i flussi di capitale non rispecchiano le sottostanti economie, tra le quali certamente l’economia europea.
Nelle previsioni di sviluppo di un Paese gli economisti, per paura di sbagliare, tendono a mantenere la prospettiva del trend in atto, peggiorando ulteriormente la vision futura. Per ovviare a questi errori di interpretazione, in finanza si sta diffondendo una nuova scuola di pensiero che si sviluppa attraverso una disciplina a cavallo tra psicologia ed economia. Essa studia l’impatto dell’emotività nei comportamenti dei risparmiatori, estendendolo al modo di agire degli operatori, siano questi economisti, ricercatori o gestori.
La finanza comportamentale è una branca relativamente nuova della psicologia che si occupa di studiare il comportamento degli individui di fronte alle scelte di investimento; l'idea alla base di questa disciplina è semplice: i mercati sono costituiti da persone che interagiscono tra loro sulla base sì di informazioni oggettive ma anche della loro personale percezione e interpretazione di queste ultime; a volte il comportamento di una parte o di un gran numero di soggetti esce da modelli propriamente razionali proprio per l'intervenire di fattori psicologici o per l'errata percezione delle informazioni a disposizione. Ci troviamo, come nel 2011, ad assistere a mercati in preda al panico senza un preciso motivo, solo perché informazione e comportamenti di massa provocano movimenti unidirezionali senza un obiettivo specifico, finendo inevitabilmente a favorire gli speculatori(sempre gli stessi), incassando perdite e sentiment negativo che le conseguenze comportano, ripeto senza una motivazione di fondo accettabile; allo stesso modo(sempre con la memoria corta) i mercati salgono seguendo il movimento del denaro e non delle aspettative che ultimamente giocano un ruolo molto marginale.
Ma non ci sono rose senza spine, ed anche in campo di analisi psicologica esistono dei fenomeni che interessena l’investitore e che possono influenzare le scelte d’investimento razionali.
Di seguito elencati con una breve definizione i principali comportamenti indiziati che possono generare conseguenze poco piacevoli:
-istinto gregario: tecnicamente è definito come la tendenza a seguire la massa e ad adattare il proprio pensiero all'opinione prevalente.
-distorsione da autoattribuzione: gli esperti la definiscono la tendenza ad attribuirsi il merito di un evento favorevole anche se in realtà le cose non sono andate così.
-distorsione della rappresentazione: è definita come la tendenza a immaginare parallelismi fra eventi che appaiono simili ma che sono in realtà profondamente diversi.
-dissonanza cognitiva: gli psicologi la descrivono come la predisposizione ad ignorare le informazioni che non corrispondono alla propria visione del mondo.
-avversione alle perdite: nella psicologia dell'investitore medio è visto come estremamente negativo chiudere una posizione in perdita per questo si preferisce mantenere in portafoglio titoli anche con prospettive future negative invece di liquidarli.
-ancoraggio: è la tendenza delle persone, di fronte a decisioni complesse, di formarsi un numero o punto di riferimento sulla base del quale effettuare le proprie scelte.
Come evitare le trappole della finanza comportamentale? Innanzi tutto diventando coscienti che esistono e ricordando che a volte gli elementi irrazionali prendono il sopravvento su un mondo che, in fondo, è costituito da individui e non da macchine.
Alla prossima, un abbraccio Mauri

mercoledì 12 settembre 2012

FINANZA COMPORTAMENTALE, OVVERO....LEZIONI DI COMPORTAMENTO FINANZIARIO


Nel marzo 1952 nacque quella che oggi conosciamo come la “Moderna Teoria del Portafoglio”. Negli anni ‘90 fu tutto un parlare di frontiere efficienti, media varianza, performance “risk-adjusted”, ottimizzazioni di portafoglio.
Le banche e le società di gestione cominciarono ad assumere massicciamente laureati in matematica e statistica, nacquero i primi “Quant Department” ovvero team di matematici che applicavano ai mercati modelli quantitativi di ottimizzazione.
Quando nel 2002 il premio Nobel per l’Economia venne assegnato ad uno psicologo per il suo lavoro nella finanza comportamentale, gli operatori alzarono la testa dai modelli per scoprire che nella realtà l’homo oeconomicus non esiste, che gli individui non agiscono secondo criteri di razionalità ma sono sempre condizionati dai propri limiti, dalle emozioni, dalle informazioni e dalle competenze imperfette.
Ma allora chi ha ragione, o meglio, cosa è più utile, la moderna teoria del portafoglio che descrive il funzionamento dei mercati con eleganti modelli matematici, o è invece più adeguata la finanza comportamentale che descrive come funziona la testa degli individui e dunque il loro comportamento?
La domanda è volutamente ingannevole: naturalmente sono utili entrambe.
Harry Markowitz ha avuto il grande merito di ricondurre il rischio dalla dimensione impalpabile di concetto (le obbligazioni sono meno rischiose delle azioni) alla dimensione concreta e misurabile di numero (la deviazione standard) e ha portato in evidenza la nozione cruciale di correlazione: una coppia di titoli assicurativi ad esempio non costituisce una diversificazione forte come quella data da un titolo assicurativo ed uno industriale (nei termini tecnici della teoria di portafoglio, la co-varianza della seconda coppia è inferiore alla co-varianza della prima coppia costituita da due titoli del medesimo settore).
D’altro canto la finanza comportamentale ha il merito di evidenziare i limiti della (presunta) razionalità, ammonisce che le regole dei mercati finanziari sono controintuitive e il loro contrasto con la natura umana richiede un maggiore impegno per evitare errori.
Meglio ancora, è opportuno frapporre qualcuno, come un esperto o un Consulente Finanziario, tra le scelte di investimento e le emozioni che inevitabilmente condizionano i comportamenti: nessuno rinuncerebbe ad un avvocato in una controversia giudiziale, o a un chirurgo nel caso di bisogno, eppure molti investitori pensano di poter “fare da sè” la propria pianificazione finanziaria.
Anche pensando alla necessità del Consulente finanziario, cioè tenere insieme la tecnica con la mente, le esigenze e le emozioni "irrazionali" spesso fanno commettere errori imperdonabili, frutto di una errata valutazione del rischio, ma ancor di più di una cattiva pianificazione in sede di allocazione delle risorse finanziarie, causata da emozioni del momento o da emulazioni con personaggi il cui comportamento e relativo profilo di rischio non corrispone affatto all'interessato.
A partire da questo mese, in collaborazione con l'Università "Ca' Foscari" di Roma e con un partener di eccellenza come Swiss&Global, e per circa 6 mesi, perfezionerò la mia conoscenza in merito, ed avrò(per chi lo desidera) cura di aggiornarvi sugli aspetti che riterrò essere interessanti.
Un abbraccio a presto
Mauri

mercoledì 5 settembre 2012

                                            DOV'E' LA CONSOB????????

Stamttina leggendo come mio solito informazioni sui mercati finanziari e sullo stato dell'economia, mi sono imbattuto in un articolo che riporto fedelmente, in Italia purtroppo non si cambierà mai, esistono figli e figliastri..... buona lettura e grazie all'autore "Luca Ciarocca".


Partiamo dai dati di fatto: il titolo RCS Media Group, l'azienda quotata a Piazza Affari a cui fa capo il Corriere della Sera, e' target di un rastrellamento forsennato e improvviso. Sotto l'occhio spento e poco vigile della Consob, il 3 agosto 2012 RCS prezzava €0,4550, il 24 agosto (inizio della forte risalita) €0,5570, ieri 3 settembre ha chiuso a €1,70. La variazione e' da capogiro, il valore in borsa del gruppo editoriale e' triplicato in meno di due settimane, con un rialzo pari a +205,21%.

Ebbene, diciamolo, si tratta di un rastrellamento scandaloso, con la complicita' indiretta dell'organo di controllo della borsa, che non batte ciglio e anzi pare avallare con la sua inazione il fatto che un titolo quotato possa piu' che triplicare di valore in pochi giorni, mentre la stessa Consob solleva obiezioni se Camfin (e' successo ieri) sale del +7%.

L'odontotecnico divenuto immobiliarista Stefano Ricucci era nessuno al confronto, quando tento' la scalata a Rizzoli/Corriere della Sera nel 2005 (anche se all'epoca non c'erano i problemi dello spread, la recessione in Europa, la crisi globale, per cui il titolo strappo' a 7 euro). La cosa piu' grottesca e' il silenzio assoluto del resto dei media italiani: nessuno vuole andare a toccare il caposaldo dei "poteri forti" e del loro quotidiano, il Corriere della Sera. Per cui nessuno ne parla. A parte gli amici di Dagospia (vedi a fondo pagina).

Centrale all'intera questione e' comunque il fatto che RCS Media Group (scheda) abbia un flottante (cioe' la parte di azioni disponibile per le contrattazioni libere sul mercato) di appena l'11%, mentre la legge e i regolamenti chiaramente indicano una quota minima di flottante per le aziende quotate pari al 25% (Vedi nota a fondo articolo).

Per quel che sta accadendo, il titolo RCS dovrebbe essere sospeso ad infinitum, qui e ora, oppure bisognerebbe iniziare la procedura per ritirare l'azione dal mercato azionario e "riprivatizzare" la societa': cosi' e' una farsa, il solito giocattolo in mano alle caste, per esclusivi fini di potere.

Quel che e' peggio, il governo di Mario Monti e il presidente della Consob Giuseppe Vegas stanno garantendo l'impunita' a chi scala il Corriere della Sera. L'obiettivo e' noto anche ai piu' sprovveduti: poter arrivare a manipolare la cruciale battaglia politica elettorale di primavera, quando andremo a votare, controllando il quotidiano "numero 1" in Italia per vendite (anche se si tratta di poco piu' di 400.000 copie al di').

In un articolo pubblicato a giugno 2012 Wall Street Italia ha evidenziato che sono soltanto sei (6) i quotidiani che superano il tetto delle 100.000 copie effettivamente vendute ogni giorno al netto delle rese, una classifica che ci pone al livello di un paese del quarto mondo. "Poteri forti" quindi, ma mica tanto.

Ecco la tabella (nel link sotto la lista e i dati ADS completi):


Corriere della Sera........... 411.244

La Repubblica................. 350.289

La Stampa..................... 219.989

Il Sole 24 Ore................. 176.896

Il Messaggero................. 170.674

Il Giornale...................... 131.388

Il Resto del Carlino.......... 128.646
CLASSIFICA ADS DIFFUSIONE E VENDITA DI TUTTI I QUOTIDIANI ITALIANI, APRILE 2012

SULL'ARGOMENTO LEGGI ANCHE:
CROLLO DI VENDITE DEI QUOTIDIANI, SOLE 24 ORE "NON SIAMO MORTI"

Aspetteremo pazientemente una risposta della Consob, qui su Wall Street Italia; queste sono critiche di una testata online con oltre 400.000 visitatori unici al mese (non pochi, nel segmento Economia/Business, anche perche' sono lettori che fanno opinione nella societa' civile); una richiesta di delucidazioni a cui l'organo di controllo dei mercati non puo' sottrarsi (il Presidente e' Giuseppe Vegas, i Commissari attualmente sono Vittorio Conti, Michele Pezzinga e Paolo Troiano, durano in carica sette anni senza possibilità di un secondo mandato e sono stati nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri).